sabato 7 marzo 2009

Il Viaggio

126 • IL VIAGGIO
A Maxime du Camp

_I

Per il ragazzo, innamorato di mappe e di stampe, l'universo è pari alla sua vasta brama. Come è grande il mondo alla
luce della lampada, come, agli occhi del ricordo, meschino!
Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio di rancore e di voglie amare, e andiamo seguendo il ritmo
delle onde, cullando il nostro infinito sul finito dei mari:
gli uni, felici di fuggire una patria infame, gli altri l'orrore delle proprie culle; e alcuni, astrologhi perduti negli occhi
d'una donna, Circe tirannica dai profumi fatali.
Per non essere mutati in bestie, s'inebriano di spazio, di luce e di cieli infuocati; il gelo che li morde, i soli che li
bruciano cancellano lentamente il segno dei baci.
Ma, veri viaggiatori sono quelli che partono per partire; cuori leggeri, simili a palloncini, non si staccano mai dal loro
destino, e senza sapere perché dicono sempre: Andiamo!
I loro desideri hanno forme di nuvole, e come il coscritto il cannone, sognano grandi, cangianti, ignote voluttà, il cui
nome lo spirito umano non ha mai conosciuto.

_II

Imitiamo orrore, la trottola e la palla nei loro valzer e nei loro salti; come un Angelo crudele che frusta i soli la Curiosità
ci tormenta e ci fa girare.
Singolare sorte in cui la meta cambia continuamente di posto, e non trovandosi da nessuna parte, può trovarsi
dovunque! Ad essa, l'Uomo cui mai vien meno la speranza, per trovare posa corre sempre come un pazzo.
La nostra anima è un tre-alberi che cerca la sua terra, l'Icaria; «Apri l'occhio» echeggia sul ponte... Dalla coffa una voce
ardente e dissennata «Amore, gloria, felicità» va gridando. Dannazione, uno scoglio.
Ogni isolotto avvistato dall'uomo di guardia è un Eldorado offerto dal Destino: ma l'Immaginazione, che subito
s'abbandona ai suoi eccessi, non incontra che uno scoglio alla luce del mattino.
O misero innamorato di paesi di fiaba! Bisognerà incatenarti e buttarti a mare, marinaio ubbriaco, inventore di
Americhe, il cui miraggio fa più amari gli abissi?
Così il vagabondo, pesticciando nel fango, sogna, naso in aria, paradisi luminosi; e l'occhio ammaliato scopre una
Capua dovunque una candela illumini un tugurio.

_III

Straordinari viaggiatori, quali nobili storie leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare. Oh, mostrateci gli scrigni
della vostra ricca memoria, i gioielli meravigliosi fatti di astri e di etere.
Senza vapore né vela vogliamo navigare! Per alleviare il tedio delle nostre prigioni fate passare sui nostri spiriti, tesi
come una tela, i vostri ricordi chiusi in cornici d'orizzonti.
Diteci: che vedeste?

_IV

Abbiamo visto astri e flutti; sabbie; e come qui, malgrado traumi e improvvisi disastri, ci siamo spesso annoiati.
Lo splendore del sole sopra il mare violetto, la gloria delle città nel sole che tramonta accendevano nei nostri cuori un
inquieto ardore, ci spingevano a tuffarci in un cielo dai riflessi incantati.
Le più doviziose città, i più vasti paesaggi non possedevano mai il fascino misterioso che il caso ricava dalle nuvole: e
sempre il desiderio ci tallonava dappresso.
- Il godere dà forza al desiderio. Desiderio, vecchia pianta, cui il piacere è concime: mentre che ingrossa e indurisce la
tua scorza, i tuoi rami vogliono vedere il sole da vicino.
Crescerai eternamente, grande albero più vitale del cipresso? - Tuttavia, con cura, abbiamo colto alcuni schizzi per il
vostro album vorace, o fratelli che trovate bello tutto quanto viene di lontano!
Abbiamo salutato idoli con la proboscide: troni costellati di gioielli lucenti; palazzi elaborati la cui pompa incantata
sarebbe un sogno rovinoso dei nostri banchieri;
costumi che inebriano gli occhi, donne che si tingono denti e unghie, giocolieri esperti che il serpente accarezza.

_V

E poi, poi ancora?

_VI

«O cervelli infantili! Abbiamo visto dovunque (per non dimenticare la cosa capitale) e senza averlo cercato, dall'alto
sino al basso della scala fatale, lo spettacolo tedioso dell'eterno peccato:la donna, schiava vile, stupida e orgogliosa, senza ridere e senza disgustarsi, si ama, si adora; l'uomo, tiranno cupido,
ingordo, lascivo e duro, schiavo della schiava, rigagnolo nella fogna;
il carnefice che gioisce, il martire che singhiozza; la festa che insaporisce e profuma il sangue; il tiranno snervato dal
veleno del potere e il popolo amante dello scudiscio che l'abbrutisce;
tante religioni simili alla nostra che danno la scalata al cielo; la Santità che, come un uomo di gusti delicati, sguazza su
un letto di piume, cerca la voluttà fra i chiodi e il crine;
ciarliera, ebbra del proprio genio, pazza come era un tempo, l'Umanità che grida a Dio nella sua delirante agonia: «O
mio simile, o mio signore, io ti maledico!»
e i meno sciocchi, arditi amanti della Demenza, che fuggendo il grande gregge recintato dal Destino, si rifugiano
nell'oppio senza fine. - Tale è l'eterno resoconto del mondo intero.»

_VII

Amaro sapere, quello che si ricava dal viaggiare! Il mondo, piccolo e monotono oggi come ieri, come domani, come
sempre, ci mostra la nostra immagine: un'oasi d'orrore in un deserto di noia!
Partire? Restare? Se puoi, resta, se è necessario, parti. Chi corre, chi si rannicchia per ingannare il Tempo, nemico
vigilante e funesto... Vi sono, ahimè, dei viaggiatori senza requie
(come l'Ebreo errante e gli apostoli) ai quali nulla basta, né treno né nave, per fuggire questo infame reziario; ma ve ne
sono che sanno ammazzarlo senza uscire dalla loro tana.
Quando alfine calcherà il piede sulla nostra schiena, potremo ancora sperare e gridare: Avanti. Come un tempo si
partiva per la Cina, gli occhi puntati al largo ed i capelli al vento,
ci imbarcheremo, col cuore gioioso d'un giovane passeggero, sul mare delle tenebre. Udite queste voci, funebri e
affascinanti, che cantano: «Di qui, voi che volete assaporare
il Loto profumato! Qui si raccolgono i frutti miracolosi dei quali il vostro cuore è affamato; venite a inebriarvi della
strana dolcezza di questo pomeriggio senza fine?»
Riconosciamo lo spettro dal tono familiare; là i nostri Piladi tendono a noi le loro braccia. «Nuota verso la tua Elettra, se
vuoi rinfrescarti il cuore», ci dice quella cui, un giorno, baciavamo le ginocchia.

_VIII

O Morte, vecchio capitano, è tempo, leviamo l'ancora. Questa terra ci annoia, Morte. Salpiamo. Se cielo e mare sono
neri come inchiostro, i nostri cuori, che tu conosci, sono colmi di raggi.
Versaci, perché ci conforti, il tuo veleno. Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso,
Inferno o Cielo, non importa. Giù nell'Ignoto per trovarvi del nuovo.

Charles Baudelaire - I fiori del male

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